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al testo di Giovanni Barlocco
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In primo luogo la colpa è all'assassino che l'ha messa, la bomba. Selim Taliban, O' Hara, o Pablo o Vassili o Francesca. Fa niente. E non mi importa un cazzo se è saltato anche lui, si è mondato dei peccati e anche di falangi, falangine, falangette; un dito nell'occhio diventa un occhio nel dito, abbraccio beccaio trita carne e ossa aguzze unisce di botto. Ma io fratello suo non sono frate nel sangue, fratello suo non sono e mi tocca e mi nausea il suo umore di morte confuso nel mio, il suo odore di morte aggrappato al mio naso, qualche metro più in là. Ma subito dietro di lui, anche prima vedevo volare sopra tracciando cerchi di nitrico rapace i pazzi benedicenti con una mano aspersoria speranza tossica su menti disperate e svèlte, e l'altra intenta a strozzare quella vera. E ancora dietro e ancora sopra, i pazzi con l'uccello duro per la Patria per lo Stato per la Razza per Dio per il Petrolio pe la Loro Tasca Inesausta. Li vedevo far sempre calcoli ematici, funebri Travet, per far tornare i conti di guerre sempre esatte, dalle loro pedane. Scesi da lì son nani ora, ed io gigante in ogni lacrima sparsa. (Quante? Per quanto?) Ed io che l'ho fatto, anche adesso, da esploso, io so ancora che è giusto il peso piccolo dei bimbi in spalla, e dividere quello grande dei vecchi. E' normale. Ma i figli di troia ci han detto che serviva una guerra guerra giusta per farlo. Diglielo tu per favore che non serviamo la stessa bandiera che si intride su quel rimasuglio di petto e mi pesa appena meno del sorriso abortito di mia moglie e mio figlio. Non lo posso più sognare non lo sento più sbocciare. Da qui, ormai, posso solo guardare. E ancora meglio li vedo, senz'occhi, i burattinai indaffarati a nascondere la coda. E si capisce bene da qui l'origine del puzzo che li accompagna, che già da prima avvertivi. Ma io son morto adesso e loro vivi.
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